In questi giorni si sorteggiano i gironi per i Mondiali. L’Italia si trova ancora ad affrontare le forche caudine dei playoff per accedere al torneo. E’ la terza volta consecutiva. Undici anni fa fummo eliminati al girone e così anche nel 2010. Insomma, è dal 2006 che non arriviamo alla fase a scontri diretti. E’ un’eternità e, da quella vittoria, il buio è stato abbastanza pesto. Detto della generazione che ha fruttato il successo a Euro 2021, assomigliato più a un lampo che altro, e al 2012, quando arrivammo alla finalissima della competizione, le altre sono state grandi delusioni e non ci si può accontentare di un quarto di finale nel 2016.
Al contrario della nazionale, i club italiani hanno vissuto periodi difficili, ma anche altri positivi. Milan e Inter hanno vinto la Champions League nel 2007 e nel 2010. La Juventus è arrivata in finale nel 2015 e nel 2017. I nerazzurri hanno fatto lo stesso percorso nel 2023 e nel 2025. L’Atalanta ha conquistato l’Europa League nel 2024. La Roma ha centrato la Conference nel 2022 e fatto la finale di EL un anno dopo. La Fiorentina ha disputato due ultimi atti consecutivi dello stesso torneo. Questi risultati, però, sono spesso stati raggiunti con un forte nucleo straniero.
Come risolvere il problema? Come può migliorare il calcio italiano? Anzi, prima di tutto, qual è il dilemma? E’ difficile da dirsi e non si ha una risposta esatta, ma si forniscono opinioni. Si tratta di una questione culturale. I settori giovanili non fruttano più talento in quanto il calcio rimane lo “sport nazionale” per eccellenza, ma non è più il solo. I bambini si gettano anche su altre discipline riducendo così il bacino d’utenza. Non è una critica e nemmeno un giudizio di valore, ma semplicemente una costatazione.
Occorre valutare poi il moduus operandi delle scuole calcio. I ragazzi arrivano a giocare 11 contro 11 quando già sono grandi e questo è solo un emblema di quanto crescano dentro a degli schemi ben precisi. Diventa difficile potersi esprimere se si inizia a militare in una squadra organizzata già da piccolo. Si impara a stare nelle regola, ma forse si perde un po’ di inventiva e di che si ha nel giocare liberi sul campetto del paese o nella sua piazza. Lì nascono i campioni.
Forse sarebbe il caso di rivedere il sistema. E’ chiaro che non si pretende di dare a questi infanti le condizioni in cui sono cresciuti talenti come Tevez. Lui giocava nel “barrio” di Fuerte Apache rischiando continuamente la vita per la pericolosità di quei luoghi, ma un tantino in più di sana spensieratezza e un pochino di “disciplina” in meno potrebbero creare dei calciatori capaci di destreggiarsi anche nelle difficoltà dell’imprevedibilità della gara e dello scontro fisico com’era per Gattuso, Buffon, Totti, Del Piero, Inzaghi e gli altri eroi del 2006.

